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In tutti i casi, coloro che sono o entrano nel regime dei minimi, dal 1 gennaio 2016 entreranno automaticamente nel regime forfettario, a condizione che ne abbiano ancora i requisiti e che non scelgano un altro tipo di regime.
La prima differenza riguarda l’aliquota che è pari al 5% per quello dei minimi, e sale al 15% per il regime forfettario (per entrambi si tratta di una imposta sostitutiva rispetto all’aliquota ordinaria (vedi anche Tassazione partita iva comunitaria), applicata sui redditi e sulle addizionali sia regionali che comunali). Sale però anche la soglia dei guadagni, fissa a un massimo di 30 mila euro per il regime dei minimi, e di 40 mila per quello forfettario. Rimangono come limiti il compimento di 35 anni di età e la durata massima di 5 anni (quello in cui si esercita l’opzione e i 4 successivi). I requisiti soggettivi sono gli stessi indicati per il 2014 e cioè:
Attenzione: l’adesione ai regimi agevolati non esonera dall’obbligo di versamento dei contributi Inps che avvengono indipendentemente dal fatturato realizzato.
Sotto questo punto di vista c’è la differenza più netta. Nel caso del regime dei minimi, la perdita dei requisiti in corso dell’anno, fa perdere il regime agevolato già nell’anno in corso, mentre nel caso del regime forfettario la perdita dei requisiti porta all’uscita dal regime agevolato solo dall’anno successivo.
Quindi ad esempio, se in regime dei minimi un professionista arriva a fatturare più di 30 mila euro nel 2015, allora già per l’anno la sua situazione contributiva va ricostruita e si ritrova in un regime ordinario. Nel caso del regime forfettario, anche se arriva a 50 mila euro in corso dell’anno, gode comunque dell’aliquota del 15%, mentre dall’anno successivo (quindi 2016 e non 2015) entrerà logicamente nel regime ordinario.