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Il falso in bilancio infatti torna ad essere un reato, confermato penale, a partire dal 2015, con una normativa semplificata, e con un inasprimento delle pene, che nella maggior parte dei casi possono arrivare fino a 5 anni di reclusione e che salgono ancora nel caso delle società quotate, potendo arrivare fino ad 8 anni di carcere.
Non si lascia molto più spazio alla fase interpretativa, legata soprattutto ai casi in cui i giudici dovevano valutare se le false comunicazioni di carattere sociale avessero causato un danno oppure no. Con il ddl anticorruzione invece basta che ci sia stata l’intenzione di causare un danno, perché venga punito il reato con il carcere. Le comunicazioni che potranno essere interessate da questo nuovo corso legislativo sono tutte quelle fatte almeno 15 giorni dopo dalla pubblicazione del ddl sulla gazzetta ufficiale il che, come tempi, porta alla seconda metà di giugno 2015 (vedi anche Come registrare una fattura estera).
Sono previste pene meno severe in due casi: per tutte quelle situazioni che il giudice ritiene di lieve entità (e per farlo deve basarsi sulla portata e sull’effetto del reato stesso); nei casi in cui la società coinvolta non rientri tra quelle che sono assoggettabili alle procedure fallimentari (in questo caso la procedura parte con la “querela” di parte, mentre negli altri casi l’input può venire anche di ufficio). Le pene più leggere prevedono sempre la reclusione, che però scende da un minimo di 6 mesi (anziché 1 anno), fino ad un massimo di 3 anni (anziché i già citati 5 o 8 anni).
Direttori, amministratori, chiunque sia nella posizione di comunicare false informazioni (vedi Residenza e domicilio fiscale), o che ometta informazioni veritiere, senza distinzioni. Ciò che può fare la differenza è, e rimane, la portata del danno causato, oltre che la risonanza che le false informazioni possono avere sul pubblico e sui soci stessi.