Classificazione dei paradisi finanziari

In questo articolo vedremo come sia possibile classificare i Paradisi Fiscali in base ai loro caratteri principali.

Da un punto di vista prettamente economico è possibile distinguere i Paradisi Fiscali nelle seguenti categorie:

  • Pure Tax Haven: ovvero tutti quei territori che non impongono tasse, che garantiscono all’investitore l’assoluto rispetto del Segreto Bancario e la riservatezza delle informazioni.
  • No Taxtation on Foreign Income: in questi stati sono tassati solo i redditi interni. Questo ovviamente garantisce all’investitore la completa esenzione dei redditi esterni.
  • Low Taxtation: questi paesi garantiscono una tassazione molto ridotta e quindi riescono ad attrarre capitali esteri.
  • Special Taxtation: questi territori, anche se dispongono di un sistema di tassazione rigoroso e quindi paragonabile a quello di uno stato “normale”, grazie ad un sistema flessibile di costituzione societaria, riescono comunque ad attrarre capitali esteri.

In uno studio del 2010, l’OCSE ha individuato una lista di ben 14 Paradisi Fiscali: Belize, Brunei, Isole Cook, Costa Rica, Filippine, Guatemala, Liberia, Isole Marshall, Montserrat, Nauru, Niue, Panama, Uruguay, Vanuatu e Isole Cayman.

Questi paesi sono stati classificati come “tax haven” seguendo i principi dettati dal documento “Harmful Tax Competition: An Emerging Issue”.
In questo scritto, l’Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico, definisce come “concorrenza fiscale dannosa”, le politiche adottate da questi paesi, e individua alcuni caratteri comuni di queste esperienze:

  • Assenza di tassazione
  • Sistema Ring Fenced (cioè un diverso carico fiscale tra redditi interni ed esterni)
  • Transazioni non trasparenti
  • Mancanza di un sistema di scambio di informazione con paesi terzi
  • Presenza di molte società accomunate dall’obiettivo di accumulare movimenti di capitale

La situazione in Italia

La legge italiana classifica i paradisi finanziari o fiscali in tre categorie:

  • paradisi fiscali leciti: Campione d’Italia, Gibilterra, Polinesia Francese, Principato di Monaco, Trieste;
  • paradisi fiscali parzialmente leciti: Antigua, Bahrein, Barbados, Cipro, Cook Islands, Costa Rica, Dominica, Emirati Arabi, Filippine, Giamaica, Libano, Liberia, Malesia, Malta, Montserrat, Panama, Portorico, Saint Lucia, Saint Vincent, Singapore, Svizzera, Uruguay;
  • paradisi fiscali proibiti: Andorra, Anguilla, Antille Olandesi, Aruba, Bahamas, Bermuda, Channel Islands, Gibuti, Grenada, Hong Kong, Isole Cayman, Isola di Man, Isole Vergini Britanniche, Liechtenstein, Macao, Nauru, Oman, Samoa, Saint Kitts and Navis, Seychelles, Turks and Caicos, Vanuatu.

Questa distinzione potrebbe far pensare, quindi, che investire o portare i propri risparmi a Montecarlo non comporti alcun problema con la legge del nostro stato mentre, aprire un’attività alle Bahamas sia vietato.
Purtroppo non è così poiché tale distinzione è stata annullata dall’Unione Europea che, in materia di paradisi fiscali, ha recepito il Trattato GATT, il quale stabilisce l’assoluta indifferenza tra questi stati.

In seguito all’adeguamento della nostra normativa al Trattato GATT, è oggi possibile per un’azienda nata in uno degli stati suindicati, sia essa di proprietà italiana, di imprenditori locali o di paesi terzi, operare nella nostra penisola senza pagare tasse sul reddito o oneri sociali (se previsto dal regime fiscale del suo paese) a patto che tutti i suoi dipendenti siano stati assunti nello stato in cui è stata fondata.

Tutto ciò può essere un bene per i clienti di tali aziende e per gli imprenditori in grado di investire in paesi con regimi fiscali agevolati ma, allo stesso tempo, aumenta la competizione nel mercato: la globalizzazione ha allargato la scala di riferimento per le imprese, che oggi devono confrontarsi con competitors provenienti da ogni parte del mondo, anche con aziende che, grazie ad un’imposizione fiscale bassa o nulla, possono lottare più facilmente nella battaglia dei prezzi.