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Tuttavia essendo un reato punibile penalmente ed amministrativamente a partire dal 1 gennaio 2015, è ormai tempo di comprendere il significato e le conseguenze dell’autoriciclaggio, riguardante azioni fino a poco tempo fa, pur individuate come non legali, comunque non punibili (come l’intervento del riciclatore di professione nei paradisi fiscali).
Il reato di riciclaggio prevede un terzo soggetto che svolge l’attività di riciclatore, e che è il solo punibile per questo reato, in quanto colui che procura il denaro che diventa oggetto di “ripulitura” ed i suoi eventuali complici o co-autori, non lo sono per questo reato, ma per quelli dai quali ci sono i proventi che vengono successivamente passati al riciclatore (ad esempio rapinatori soggetti a condanna penale per rapina e riciclatore per riciclaggio). Quindi, prima del decreto 231, se a riciclare era lo stesso autore del reato “presupposto” questi poteva essere sanzionato solo per il reato presupposto ma non per il riciclaggio, in quanto l’autoriciclaggio non era punibile. Si parla in ogni caso di autoriciclaggio quando chi compie l’atto presupposto ed il suo eventuale co-autore fanno anche attività di riciclaggio. Ora invece essendo previsto come reato penale la situazione cambia completamente, in quanto chi ricicla in prima persona i propri proventi illeciti non rimane più impunito, così da combattere l’evasione fiscale soprattutto per quanto riguarda le operazioni svolte nei paradisi fiscali.
In conclusione dal 1 gennaio del 2015, coloro che fanno riciclaggio, ad esempio avvalendosi dell’aiuto di una società specializzata (spesso tramite un giro di fatture e spese gonfiate, per prestazioni inesistenti, con le somme restituite sui conti offshore stornate dei compensi pagati per l’intermediazione), sono puniti in prima persona, e lo è anche colui o coloro che hanno avuto un ruolo come co-autori nelle varie operazioni di questo tipo o con queste finalità. La pena prevede da due ad 8 anni di reclusione.